
Holly Golightly è una fanciulla di piccola virtù che campa a 50 dollari per prestazione; Paul Vasrjac è un giovane scrittore che ne riceve 1000 come buonuscita dalla sua protettrice. I due s'incontrano e s'innamorano. Il film parte come una commedia sofisticata, si trasforma in un ritratto con velleità liriche per finire poi sui toni di una favola sentimentale. B. Edwards è capace di sottigliezze di alta sofisticazione. Sceneggiatura del capace George Axelrod da un romanzo di Truman Capote. Oscar alla canzone "Moon River" di Henry Mancini.

Una principessa in visita ufficiale a Roma si sottrae alla sorveglianza dei dignitari e se ne va in incognito per la città in compagnia di un giornalista che fiuta il grande colpo. È il film che fece di A. Hepburn una star-grissino, premiata con l'Oscar insieme a Ian McLellan Hunter, autore del soggetto, e a Edith Head per i costumi. È un "Accadde una notte" in chiave monarchica. Prima commedia di W. Wyler dopo il '35: vispa, piacevole, con qualche eccesso di sciroppo e troppe preoccupazioni turistiche.

Dalla commedia Sabrina Fair (1953) di Samuel Taylor. Per dimenticare il figlio del padrone di cui è innamorata fin da ragazzina, la figlia dell'autista di una ricca famiglia americana va a studiare a Parigi. Trasformata in una donna di classe e gran fascino, torna due anni dopo e fa innamorare tutti e due i padroni, lo scapestrato e il serio. Sarà il secondo che la porterà all'altare. Una delle commedie meno "cattive" di B. Wilder, tra le più deboli e sicuramente la più zuccherata e convenzionale che, comunque, inietta sagacemente i suoi veleni in un contesto di squisita piacevolezza e di frivola intelligenza. Uno dei 2 protagonisti maschili è fuori parte (H. Bogart), l'altro (W. Holden) fuori tono. Consacrò A. Hepburn come star. Oscar ai costumi di Edith Head.

Dalla commedia musicale di grande successo (1956) di Frederick Loewe e Allan Jay Lerner (tratta da "Pigmalione", 1914, di G.B. Shaw): a Londra, all'inizio del secolo, il prof. Higgins, studioso di fonetica e misogino, trasforma la giovane fioraia Eliza Doolittle dall'orribile pronuncia in una signora. Superproduzione Warner (70 mm, 6 piste sonore) in cui, oltre a trasferire felicemente lo spettacolo dal palcoscenico allo schermo, G. Cukor accentua la stilizzazione del musical nell'ammiccante recitazione e nel rapporto tra personaggi e ambiente. 8 Oscar: film, regia (primo e unico per Cukor), R. Harrison, scene e costumi di Cecil Beaton, Harry Stradling (fotografia), André Previn (adattamento musicale), George Groves (colonna sonora).

Giovane bibliotecaria è lanciata come modella grazie a un fotografo di moda, di lei innamorato, che deve staccarla da un rivale, filosofo "enfaticalista". Quasi un canto del cigno, o un passo d'addio del grande F. Astaire, non lontano dai 60 anni ma ancor agile di gambe. Squisita messa in scena, sostenuta da una fotografia che ebbe la supervisione del celebre Richard Avedon e da una K. Hepburn vestita da Givenchy. Le canzoni di George e Ira Gershwin completano il bilancio al cui passivo vanno la storia troppo zuccherosa e i dialoghi senza sale.

A un'americana che vive a Parigi, assassinano il marito. È tampinata da tipi strani e un affascinante compatriota le viene in aiuto. In altalena tra la commedia romantica nera e la farsa macabra, uno scintillante thriller alla maniera di Hitchcock, ma senza risvolti metafisici, garbato, sorridente, piacevole, elegantissimo.

Da un libro di Kathryn Hulme sceneggiato da Robert Anderson. Ragazza belga con inclinazioni mistiche entra in convento, diventa suor Lucia, lavora in Congo come infermiera ma dopo diciassette anni viene secolarizzata per continuare nel mondo laico la sua opera di carità. 6 nomination ma nessun Oscar. Non privo di finezze, specialmente nella prima parte in convento, è solido come tutto il cinema di Zinnemann, ma convenzionale e moralistico.

Bisticci a lieta fine di due giovani coppie costrette a vivere, dopo la seconda guerra mondiale, sotto lo stesso tetto. C'è anche una governante che fa da quinto incomodo. Piacevole commedia degli equivoci sui problemi della vita quotidiana, tratta da una pièce di Ronald Jeans.

Dal romanzo (1863-69) di Lev Tolstoj: le peripezie di una famiglia russa ai tempi dell'invasione napoleonica. Penultimo film di K. Vidor (1896-1982) che ebbe al suo fianco, come regista delle battaglie, Mario Soldati. Nato da una sceneggiatura tormentata (cui posero mano una dozzina di persone di cui solo sei accreditate), è un kolossal, frutto di due tendenze inconciliabili: l'intenzione dei produttori Ponti-De Laurentiis di farne un grande e rutilante spettacolo di massa e l'ambizione del regista di rispettare lo spirito del testo (facendo perno sul personaggio di Pierre-H. Fonda) nell'ottica del proprio mondo. Prevalse la prima, rimangono alcune tracce della seconda. L'esercito italiano contribuì con 5000 fanti e 8000 cavalleggeri. Dal romanzo sono stati tratti 3 film russi muti e un colosso sovietico (1965-67) in quattro parti di Sergej Bondarciuk di cui arrivarono in Italia, sunteggiate, le prime due, distribuite in un film unico col titolo Natascia-L'incendio di Mosca.

Dal romanzo Ariane (1924) di Claude Anet: è la storia di Cappuccetto (la figlia parigina di un investigatore privato) che riesce a mettere in gabbia il Lupo Cattivo (un miliardario americano che fa collezione di avventure galanti). "Film sull'amore, e il più fisico, ma opera di un cuore secco" (Cahiers du Cinéma). Cuore secco sta per lucidità critica di un Wilder molto lubitschiano che dosa accortamente sentimento e cinismo, perfezionando il precedente Sabrina (1954).

L'unica figlia di una famiglia di rancheri bianchi è in realtà un'orfanella pellerossa, ma i suoi tre fratelli lo ignorano. Quando la tribù dei Kiowa la reclama, esplode il dramma. Uno dei due western di Huston che lavorò nelle migliori condizioni possibili: alto costo, due star, uno sceneggiatore d'ingegno (Ben Maddow con cui aveva lavorato in Giungla d'asfalto, 1950), un operatore tedesco di merito (F. Planer), un musicista di successo (D. Tiomkin). In questa vicenda che capovolge quella di Sentieri selvaggi (1956) di John Ford, anch'esso ispirato a un romanzo di Alan Le May, il tema del razzismo è affrontato in modo indiretto, ma efficace: non contano tanto il sangue e il colore della pelle quanto le affinità con una civiltà. La cultura pesa più della natura. Il passar del tempo ha lavorato per il film invece di logorarlo: sono più evidenti le sue ambizioni di tragedia corneilliana (conflitti tra passioni e doveri); la simbiosi tra uomo e natura, specialmente nella 1a parte; le magnifiche folate di invenzione cinematografica. Parzialmente riuscito e meno vitale di L'uomo dai sette capestri (1972).

La scuola diretta da Karen e da Martha va incontro al fallimento dopo le calunnie lanciate contro le due insegnanti da una bambina maliziosa. Dopo un po' di tempo la verità viene a galla, ma per Martha è troppo tardi. 2a versione del dramma (1934) di Lillian Hellman, più fedele e franca della 1a (La calunnia, 1935, con Merle Oberon e Miriam Hopkins), ma inerte. La bravura delle 2 protagoniste gira un po' a vuoto.

Mentre lavora alla sceneggiatura di un film con la segretaria, scrittore americano a Parigi sogna di vivere con lei la vicenda che sta scrivendo. Tiepido rifacimento del francese La fete à Henriette (1952) di Julien Duvivier. La colpa è dello sceneggiatore-produttore George Axelrod che sa scrivere dialoghi spiritosi, ma è debole nell'organizzazione della materia. Cammei di Tony Curtis e Marlene Dietrich, la voce di Fred Astaire che canta.

La figlia di un famoso collezionista (ma, in realtà, espertissimo falsario) incarica un falso ladro di rubare dal Louvre una preziosissima statua di Venere che, però, è un falso. Commedia piacevole, spiritosamente stilizzata in cui, però, la glorificazione del falso non diventa principio strutturale. Tutto si risolve in fatuo e vacuo gioco di superficie. Guidata da W. Wyler che la scoprì, A. Hepburn è deliziosa.

Un fotografo entra casualmente in possesso di un quantitativo di stupefacenti. Sua moglie, cieca e sola nell'appartamento, si difende da tre delinquenti che per recuperare la droga la sequestrano. Young non si preoccupa della verosimiglianza della storia tratta da un copione teatrale di Frederick Knott. A lui interessa arrivare al nodo della suspense. Robusto thriller: A. Hepburn fu designata all'Oscar e, come criminale nevrotico, A. Arkin lascia il segno!

Dopo un lungo esilio Robin Hood torna tra le foreste di Sherwood. Marian, il suo amore di gioventù, fa la badessa in un convento e lo sceriffo di Nottingham è sempre al suo posto. Nuove avventure con struggente finale. Bellissimo e tenerissimo film che segnò il ritorno dopo 7 anni di A. Hepburn in coppia con l'ottimo Connery, Robin Hood stanco e ingrigito. Giusto equilibrio tra demistificazione e pathos, realismo e romanticismo. Ironia, non parodia.

Pilota di aerei antincendio, caduto in missione, torna invisibile tra i viventi a far da angelo custode e istruttore a un giovane collega destinato a succedergli nel lavoro e nel cuore dell'amata. Rifacimento, inzuppato di nostalgia intenerita, di Joe il pilota (1943) di V. Fleming, con Dreyfuss al posto di Spencer Tracy e l'ultima apparizione angelicata di A. Hepburn. I primi 40m che precedono la morte eroica del protagonista funzionano (con riprese dal vero dell'incendio che nel 1988 devastò il parco di Yellowstone), poi il tasso di saccarosio cresce in quantità indigesta.
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